Quando fui invitato a partecipare a Beica Ben, il progetto riguardava la Valle Grana e la Valle Maira; non avevo un idea precisa di ciò che avrei cercato, di dove sarei andato. Cogliere istintivamente le foto che mi aspettano, già è il mio normale modo di operare, pertanto, questa volta, volli aspettare che fossero questi luoghi, non solo a mostrarmi gli scatti, ma anche a suggerirmi cosa dovevo guardare.
Passo dopo passo entrai in empatia con le vite che avevano abbandonato queste valli. Colpevole la vita in scatola, a prezzo fisso, quella in vendita nelle città-discount di esistenze preconfezionate. A buon prezzo, ma senza sapore. Quella offerta di vita, ha caratterizzato un epoca e ha spopolato qualunque zona rurale, niente di nuovo, dunque.
Ma tra tutti i territori che la paghetta mensile ha desertificato, la montagna è quello che ha ricevuto i danni più profondi. Il rapporto radicale tra le valli e la loro gente è un rapporto genetico, una comunione di anime. Costruire la vita sociale sulla montagna, la comunità, è qualcosa che richiede l'intervento di generazioni, non accade da se. La società, in montagna, si costruisce con la forza delle gambe, la resistenza della schiena e la pazienza della roccia. Chi abbandonò la montagna lasciò quassù un pezzo della propria anima. Quello più duro, certo. Ma quale bellezza potrai mai ottenere senza fatica?
Una ricerca che mi ha portato a navigare in un mare di solitudine, da un lato e di rimpianto, dall'altro. Ed entrambe sono emozioni dal facile rimedio, se ci pensi bene.
In quei due giorni scattai circa settecento fotografie. Chi è esperto sa che non sono molte, d'altronde la mia ricerca non avvenne solo sul piano dell'immagine.
Ne ho selezionate un centinaio, che sono sempre molte. Infatti tutti gli enti che hanno mostrato questi scatti, in qualsivoglia occasione, ne hanno sempre dovuto fare una cernita strettissima.
Ma se non li espongo io in casa mia, chi altri può farlo?